FRANCESCA PEROZZIELLO
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18/2/2020

TRADUTTORI AUTOMATICI, MINACCIA O OPPORTUNITÀ PER I TRADUTTORI UMANI?

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IL TRADUTTORE UMANO È INDISPENSABILE, E LO SARÀ A LUNGO. PERCHÉ?Da tempo si sente dire, soprattutto tra i non addetti, che i traduttori automatici, un esempio su tutti Google Translate, sostituiranno i "traduttori umani". In realtà non penso che questa cosa possa avvenire perlomeno non nel futuro immediato.
Noi traduttori siamo ancora indispensabili. Perché il lavoro del traduttore è ancora indispensabile? Per alcune componenti che adesso andremo a vedere.
L'esperienza personalePrima di di tutto per un discorso legato all'esperienza personale:  io come traduttore o come casa editrice posso viaggiare, informarmi, studiare, conoscere persone... tutte cose che la macchina, il software non può fare.
La CulturaLegata a questa componente c'è il discorso culturale: quando traduco da una lingua dall'altra, io in realtà sto traducendo da una cultura all'altra. Quindi in ogni cultura, in quella di partenza e in quella d'arrivo, avrò delle caratteristiche peculiari, delle espressioni idiomatiche, dei modi di dire: tutto questo il computer non può captarlo, non può riprodurlo fedelmente
La SensibilitàC'è poi la terza componente che spesso viene sottovalutata: è quella che io definisco sensibilità, il sentire che ha il traduttore o la traduttrice rispetto al testo, al prodotto che sta traducendo. Anche questa, a mio avviso, è una componente che la macchina, il software ovviamente non può avere.
MINACCIA O OPPORTUNITÀDobbiamo però dire, ad onor del vero che negli ultimi anni i software di traduzione automatica assistita hanno fatto davvero dei passi da gigante. Questo non vuol dire che ci debbano sostituire: è il traduttore che deve essere così abile e intelligente da sfruttare la tecnologia a proprio favore. 
Pensiamo ad esempio al settore tecnico: alla traduzione di manuali di istruzione, di videogiochi, di applicazioni... ci sono un sacco di settori in cui i software di traduzione assistita sono indispensabili per il traduttore. Permettono in particolare di velocizzare il lavoro e, di conseguenza, in teoria, la possibilità di svolgerne una mole superiore. Quindi se utilizzati in maniera corretta, questi strumenti tecnologici diventano per il professionista un valido aiuto.
ESEMPI "STORICI" DI COME LA SENSIBILITÀ E LA CONOSCENZA DELLE CULTURE POSSA GIOCARE UN RUOLO FONDAMENTALE NELLA TRADUZIONE


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Un caso esemplare è quello della saga cinematografica "Star Wars", o Guerre Stellari come si chiamava quando uscì in Italia, in particolari i primi film. La scelta del traduttore Italiano fu quella di tradurre i nomi dei personaggi:
  • nei nostri cinema abbiamo guardato le gesta della principessa Leila, e non Leia (nome originale)
  • Il villain si chiamava Dart Fener e non Darth Vader.
Insomma, è indispensabile che ci sia una persona in grado di conoscere la cultura di partenza e quella d'arrivo in modo da restituire un messaggio efficace anche al suo spettatore.


Articolo tratto da una mia intervista realizzata dalla SSML di Pisa in data 14/10/2019.
A questo link trovate l'originale: https://www.mediazionelinguistica.it/blog/2019/traduttori-automatici-minaccia-o-opportunit%C3%A0-i-traduttori-umani

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5/2/2020

Doppiaggio sì, doppiaggio no

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L'annosa questione degli adattamenti italiani
Si tratta di un articolo che ho pubblicato su Gamesurf, portale dedicato a cinema e videogiochi.
Qui trovate l'originale: Doppiaggio sì, doppiaggio no.
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Fra gli argomenti in grado di dividere a metà il pubblico cine-televisivo, la questione doppiaggio è sicuramente una delle più accese. Basta solo nominarlo ed ecco che gli spettatori si dividono in due fazioni ben precise, i pro e i contro. Ma è davvero possibile liquidare il tutto in un "io preferisco i film doppiati" o, al contrario, schierarsi con quelli che guardano solo prodotti in lingua originale?

Proviamo a capire da vicino la situazione italiana, anche perché il nostro Paese è un vero e proprio portabandiera di questa pratica artistica. Insieme a Francia, Germania, Spagna e a un pugno di altri stati, l'Italia si avvale da decenni del doppiaggio, fin dagli anni '30 del '900.
Dopo l'arrivo del sonoro al cinema (1927), i film esportati in Italia vengono sottoposti, per alcuni anni, ad una pratica introdotta dal regime fascista: i film sonori vengono resi muti e le scene sono inframmezzate da didascalie che dovrebbero spiegare la vicenda.
Come ben capite, una simile operazione risulta non solo noiosa, ma anche dannosa per il povero spettatore, costretto a concentrarsi sia sulle immagini (prive di voci) che sulle spiegazioni.
Nel 1932, le major hollywoodiane decidono che il mercato italiano è troppo ghiotto per essere trascurato: se il regime fascista non vuole che le lingue straniere arrivino in Italia, la soluzione sarà quella di parlare direttamente in italiano.

I primi risultati, però, hanno un effetto più comico che utile. Sono gli stessi attori americani a registrare in presa diretta recitando in un italiano stentato, sicuramente poco naturale. Altre volte i film vengono doppiati, sempre dagli interpreti originali, prima di esportarli in Italia, ma i prodotti sono ancora poco convincenti. L'esempio più famoso di questi primi tentativi è quello di Stanlio e Ollio, che inizialmente recitavano nelle diverse lingue dei paesi di destinazione. Il loro accento era talmente buffo che i primi doppiatori italiani del duo comico, Carlo Cassola e Paolo Canali, decisero di imitarne la cadenza, creando quella celebre parlata entrata nell'uso comune.

Si arriva alla svolta quando sono gli attori di lingua italiana, interpreti di teatro o attori italiani residenti da tempo negli USA, a doppiare gli attori americani. Anno dopo anno, la pratica del doppiaggio viene apprezzata sempre più. Anche a causa dell'analfabetismo imperante in Italia, il doppiaggio ha trovato un terreno davvero fertile rispetto ad altre soluzioni, come quella della sottotitolazione, ancora oggi usata in altri stati.

A farla da padrone sono da sempre gli studi di Roma, anche se dagli '80 in poi Milano ha guadagnato un notevole terreno, specialmente grazie all'arrivo dei cartoni animati giapponesi e di molte serie televisive.
Alcune voci, del presente e del passato, sono così familiari all'orecchio dello spettatore italiano da risultare inscindibili dal volto dell'attore o dell'attrice doppiati, vedi la storica voce di Oreste Lionello per Woody Allen, quella di Ferruccio Amendola per Robert De Niro e Dustin Hoffman o quella di Maria Pia Di Meo per Meryl Streep.

Da qualche anno a questa parte stiamo però assistendo a un cambiamento di rotta: molti spettatori preferiscono guardare i prodotti cine-televisivi in lingua originale, invece che doppiati. Colpa del doppiaggio in generale o piuttosto della fretta con cui diversi film e serie televisive vengono tradotti, adattati e portati in sala di doppiaggio?

Per prima cosa, spezziamo una lancia a favore dell'adattamento dei dialoghi in italiano. Se è vero che grazie a internet e al modo in cui è cambiato lo studio della lingua inglese, lo spettatore italiano può apprezzare maggiormente i prodotti in lingua originale, è anche vero che solo in pochi possono vantare una comprensione totale dei dialoghi in inglese. A meno che lo spettatore non sia madrelingua o bilingue, o comunque che abbia studiato in modo approfondito le lingue straniere, difficilmente riuscirà a cogliere ogni singola sfumatura, ogni gioco di parole contenuto nei dialoghi originali. Qualcosa andrà irrimediabilmente perso.

Nessuno di noi, infatti, ha la pretesa di leggere romanzi russi o svedesi in lingua originale, a meno che non abbia una conoscenza davvero approfondita di queste lingue. Il doppiaggio, in questo senso, dovrebbe permettere di apprezzare l'opera tradotta come se fosse stata pensata e recitata nella nostra lingua, non in quella di partenza.

Il condizionale è d'obbligo, dato che non tutti gli adattamenti italiani, negli ultimi anni, rispondono al requisito di chiarezza e naturalezza che lo spettatore vorrebbe.
Il problema, forse, non è tanto tradurre o non tradurre, doppiare o non doppiare, quanto garantire allo spettatore un prodotto che non fraintenda o non impoverisca l'originale. Adattare i dialoghi non è una passeggiata, sia ben chiaro. Ma fra i film e le serie tv tradotte negli anni '80/'90 e quelle tradotte negli ultimi dieci anni possiamo notare un abisso a livello qualitativo. Non in tutti i casi, ovviamente, ma nella maggior parte di essi c'è una certa "fretta" nella produzione della versione italiana, a discapito della qualità del prodotto.

Pensiamo, ad esempio, alla genialità dei dialoghi di Roberto De Leonardis, conosciuto per aver adattato una gran quantità di pellicole Disney, nonché diversi film di Mel Brooks. Se Frankenstein Junior riesce ad essere un film così tanto amato, il merito è anche di De Leonardis, che con i suoi dialoghi italiani rese perfettamente non solo il senso letterale, ma anche la sfumatura comica delle battute dei personaggi. Il suo celebre "Lupo ululà, castello ululì" è fra gli adattamenti più riusciti nella storia del cinema, un vero e proprio esempio di perfezione per chi si appresta ad adattare in italiano i dialoghi di un film straniero.

Qualcuno propone di rimpiazzare il classico doppiaggio con i sottotitoli, un po' come accade per i festival di cinema e per altri Paesi. Certo, la visione del film in lingua originale è un ottimo metodo per familiarizzare con le lingue straniere, ma la lettura dei sottotitoli ha il duplice effetto di distrarre lo spettatore dalla visione delle immagini, perdendo anche in questo caso alcuni elementi.
Nessuno di noi ha la bacchetta magica o la soluzione perfetta per la questione "doppiaggio sì/doppiaggio no", ma una cosa è certa: investire nella qualità delle traduzioni e dei doppiaggi garantirà a un maggior numero di spettatori di poter apprezzare i prodotti nella propria lingua, senza avvertire la spiacevole sensazione che qualcosa sia andato perso o che la traduzione abbia frainteso completamente il senso originale della frase.

E voi, cosa ne pensate? Sono curiosa di sapere le vostre opinioni sul doppiaggio!

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