Vezzeggiativi, anglicismi e altre creature leggendarie che popolano le nostre tavole. Metto le mani avanti: sono sempre stata un po' snob e conservatrice, in ambito di "evoluzione della lingua".
Già, perché la lingua davvero "si evolve" o si limita a incorporare nuovi termini e nuove locuzioni? Quelli che un tempo erano neologismi, con il passare dei decenni sono diventati termini di uso comune. Basti pensare al tramezzino, inventato da D'Annunzio per sostituire l'inglese sandwich, o a piadina, termine coniato da Pascoli. Non sarò né la prima né l'ultima a portare avanti il dibattito, ma vorrei utilizzare questo spazio per fare alcune riflessioni sull'italiano e alcune fastidiose abitudini ormai molto diffuse. Partiamo dai vezzeggiativi. Mi riferisco a quei nomignoli che popolano bar, ristoranti, tavole calde e, sempre più spesso, anche le occasioni più informali. Lo vuoi un cafferino? Fai un aperitivo? Ecco il prosecchino! Esci con gli amici? Ma fatti una birretta! Ho proprio voglia di un... sushino! Ogni volta che sento una di queste oscenità, la tentazione è quella di alzarmi da tavola e sparire nella notte come Darkwing Duck. Vogliamo parlare degli anglicismi? Ma sì, facciamolo. Tanto l'avete capito che sono pesante. Nel maggio 2019, l'Accademia della Crusca fece un appello a favore della traduzione italiana di termini che, troppo spesso, utilizziamo nella loro variante inglese. Penso che questo sia particolarmente valido per l'ambito enogastronomico dove, ahimè, ci siamo dimenticati dell'esistenza di alcune parole italiane. Se, per ovvie ragioni storiche e culturali sono ben accetti termini come hamburger, cupcake o cheesecake, davvero non riesco a capire l'uso smodato di locuzioni pseudo-inglesi. Vi faccio un esempio. Scorro la bacheca di Facebook e vedo amici e conoscenti alle prese con pizze, focacce e dolci di ogni sorta. Vorrebbero partecipare ad uno show cooking per diventare famosi come Cannavacciuolo, ma non hanno ancora capito che si dice cooking show! E poi... Perché devo inserire l'hashtag foodporn anche per la torta di mele fatta da mia nonna? Il grande contenitore dei neologismi non sembra essere immune. L'aggettivo microondabile è solo la punta dell'iceberg. Lo so, usare una perifrasi può non veicolare il messaggio con altrettanta immediatezza, eppure possiamo esprimere lo stesso concetto senza utilizzare un unico aggettivo. La lingua italiana ce lo permette. Vi fa così schifo dire: da riscaldare nel microonde? Il mio intento non è puramente polemico. Da traduttrice, infatti, sono ben consapevole dei cambiamenti cui vanno incontro tutte le lingue. Sarebbe stupido pensare alla lingua come a un entità astratta e immutabile, un insieme di codici mummificati. Ma non posso fare a meno di pensare quanto sia necessario riflettere con maggiore attenzione, specialmente nella vita di tutti i giorni, prima di usare una parola o un'altra. Adesso la smetto e vado a bermi un succhino di frutta. No, non è vero!
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Francesca PerozzielloLe mie riflessioni sul mondo della traduzione e non solo. Archives
August 2023
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