Foto di Arek Socha da Pixabay Fra i lavori meno noti al grande pubblico, credo che quello del traduttore occupi un posto di riguardo.
Tutti hanno (più o meno) presente in cosa consista il lavoro dell'interprete, ma nessuno sa davvero come trascorra le sue giornate un traduttore. Questo essere mitologico e misterioso che fa della scrivania la sua vera dimora opera secondo logiche non sempre comprensibili. Per quelli di noi che scelgono di specializzarsi in ambiti creativi, come ad esempio l'audiovisivo, entrano in gioco diversi fattori. Proprio come i colleghi che si occupano di traduzioni tecniche, anche noi ricorriamo a glossari, software di traduzione e varie diavolerie tecnologiche in grado di snellire il nostro lavoro. Ovviamente le suddette diavolerie ci vengono incontro nei momenti non creativi dell'opera di traduzione. Chi lavora nel settore sa bene che possiamo contare sui CAT tool, i software di traduzione assistita, utilissimi quando si tratta di ripetere sempre allo stesso modo una certa stringa di testo, nel mio caso le istruzioni dei videogiochi. Ma quando si parla di creatività, non c'è software che tenga. Ed è lì che entra in gioco la mente del traduttore, il suo bagaglio personale di esperienze, letture, emozioni, oltre che il suo modo di percepire il testo. Se è vero, come credo, che il traduttore sia un "secondo scrittore", in quanto riscrive completamente il testo nella propria lingua, sorge spontanea una domanda: anche il traduttore è soggetto al blocco dello scrittore? Ma soprattutto: anche per noi traduttori vale la logica dell'ispirazione? Mi sento di rispondere ad entrambe le domande con un bel "sì". Ora mi spiego meglio. Sento spesso dire che il traduttore non vive, a differenza dell'autore che traduce, la tragica fase del blocco dello scrittore. Il foglio che resta bianco, la frase che proprio non si completa. Eppure sono certa che a tanti colleghi sia capitato di arrovellarsi per riuscire a trovare il gioco di parole perfetto. O il proverbio calzante. O un nome parlante da rendere con la stessa ironia dell'originale. Anche per noi, dunque, vale lo stesso meccanismo, forse in maniera più attenuata e privilegiata. Che cosa fare, dunque, quando la traduzione giusta non ne vuole sapere di saltar fuori? In base alla mia esperienza, direi che ci sono due strade percorribili. La prima è staccare completamente per qualche minuto, anche mezz'ora, e dedicarsi a tutt'altro. Sì, lo so, a volte il tempo d'attesa si dilata drasticamente. La seconda via percorribile è quella della ricerca. Da bravi topi di biblioteca quali siamo, noi traduttori possiamo addentrarci nei meandri della rete e cercare proprio lì il consiglio giusto, magari attingendo al florilegio di espressioni idiomatiche che caratterizza la nostra lingua madre. Avevate mai pensato al binomio "traduttore/ispirazione"? E, se siete colleghi traduttori, come reagite quando vi capita? Fatemelo sapere!
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