![]() Foto di Rahul Yadav da Pixabay Le canzoni che amiamo ci aiutano ad apprendere le lingue. È capitato anche a voi di imparare o perfezionare una lingua straniera proprio grazie alla musica? A me è successo con la lingua inglese e le canzoni dei Queen. Da ragazzina leggevo e rileggevo avidamente i testi di Freddie Mercury e compagni fino a consumare le pagine di una splendida edizione in due volumi con testo a fronte. Questa lettura non mi servì solo a memorizzare le parole delle canzoni, ma anche ad apprendere nuovi vocaboli e, soprattutto, nuove espressioni idiomatiche. Credo che, sotto sotto, la passione per la traduzione sia nata proprio in quel momento. Tradurre le canzoni è, a mio avviso, un'impresa titanica, pari solo alla traduzione delle poesie. È vero, non tutte le traduzioni che circolano in rete restituiscono il sapore dell'originale, ma se non altro riescono a costruire un ponte fra chi ama la musica e, al tempo stesso, cerca in tutti i modi di padroneggiare al meglio una seconda o una terza lingua.
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I dialetti italiani al cinema e in TV.
Qualche giorno fa, in un mercatino di libri usati, ho messo le mani sul primo volume del Dizionario dei dialetti d'Italia. Questo piccolo ma utilissimo dizionario è uscito per la prima volta nel 1983, non proprio l'altro ieri. Eppure il suo scopo, quello di preservare l'immenso patrimonio di dialetti che caratterizza la nostra penisola, risulta ancora condivisibile. Mi sono allora venuti in mente alcuni esempi di traduzioni e adattamenti italiani che hanno scelto di avvalersi proprio dei dialetti per restituire le numerose varietà linguistiche presenti nel testo di partenza. Come traduttrice di audiovisivi, l'avrete già capito, i primi esempi a cui ho pensato provengono proprio dal mio ambito. Non starò qui a soffermarmi sull'adattamento italiano de I Simpson, anche se rappresenta uno dei casi più noti, ma dobbiamo ammettere che questo adattamento è uno dei più famosi mai realizzati nel nostro Paese. Tale scelta è stata spesso oggetto di controversie, o la si ama o la si odia. Alcuni professionisti del settore, così come alcuni spettatori, adorano l'uso di dialetti e regionalismi al posto di una determinata lingua straniera. Altre persone, invece, proprio non tollerano questa "intrusione" e percepiscono la presenza del dialetto o di uno spiccato accento regionale come un tentativo forzato di addomesticamento del prodotto in questione. Voi cosa ne pensate? È giusto usare dialetti e regionalismi nelle nostre traduzioni? Possiamo usare un linguaggio inclusivo senza ricorrere allo schwa e agli asterischi.
Può sembrare fantascienza pura, ma la lingua italiana ci permette di esprimerci in modo inclusivo e, al tempo stesso, di comunicare in modo efficace. L'utilizzo di schwa e asterischi, almeno per il momento, non risulta alla portata di chi usa i social in modo distratto. Se vogliamo raggiungere un pubblico medio e farlo in modo immediato, credo che non sia ancora possibile optare per le due soluzioni con cui ho aperto questo post. È vero, ricorrere a giri di parole e sinonimi richiede più tempo, ma i nostri sforzi saranno ricompensati. La lingua italiana è ricca di termini e verbi che possiamo utilizzare per evitare di rivolgerci a un genere specifico, basta solo fare un po' di attenzione. "Ti diamo il benvenuto", per esempio, è un ottimo modo per non specificare il genere a cui ci stiamo riferendo, anzi, per comprendere più generi. "Corpo docente" è una valida soluzione per riferirsi a chiunque insegni in una determinata scuola o istituzione. Come traduttrice di audiovisivi, ritengo fondamentale adottare strategie per rivolgersi a tutti i gamer, non solo a quelli di sesso maschile. Una semplice frase come "Vuoi davvero uscire dal gioco" rappresenta l'esempio perfetto di inclusività, senza il bisogno di ricorrere a simboli o lettere non ancora alla portata di un pubblico generico. Tutto è traduzione.
Lo sanno anche Newton Pitagorico e Pico de Paperis, protagonisti di una splendida storia che ho da poco letto sulle pagine di Topolino. Un breve ripasso su Pico de Paperis. Saccente, preparato in qualsiasi ambito e insignito di numerose lauree, l'esimio studioso vanta conoscenze che spaziano dai lepidotteri all'esperienzologia applicata. Nella storia in questione, Pico deve insegnare al giovane Newton l'importanza delle lingue straniere. Ogni idioma, spiega il papero più colto di Paperopoli, si modella per l'influenza dell'ambiente e per il bisogno di distinguersi. Anche se le diversità fra le varie lingue possono sembrare un ostacolo alla comunicazione, è proprio la loro diversità a renderle tanto affascinanti. Per citare Pico: "Più lingue impareremo, più aggiungeremo sfumature alla nostra esperienza!". È anche vero, come afferma il piccolo Newton, che "Esiste sempre la traduzione". Trovo che queste riflessioni sulle lingue straniere e sulla traduzione siano davvero efficaci per capire l'importanza della traduzione. Ogni lingua porta con sé un intero mondo, anzi, un universo ricco di sfaccettature meravigliose. Purtroppo nessuno di noi, a differenza di Pico de Paperis, ha la facoltà di parlare tutte le lingue del mondo! Ecco perché la traduzione è l'indispensabile ponte fra popoli e culture. Un ponte spesso dato per scontato, eppure così importante. Se vi ho incuriositi, trovate la storia a cui mi riferisco su Topolino n. 3421. ![]() Foto di nugroho dwi hartawan da Pixabay Per iniziare al meglio la settimana lavorativa, ho deciso di sfatare 5 falsi miti sul lavoro del traduttore: 1. Traduttore = dizionario umano No, non siamo dizionari umani. Non mi stancherò mai di ripeterlo! Conosciamo tantissime parole/modi di dire/proverbi sia nella nostra lingua madre sia nelle lingue da cui traduciamo, ma di sicuro non siamo dizionari ambulanti. 2. Per fare il traduttore basta sapere bene [inserire lingua] I famosi quattro giorni a [inserire città] non fanno di te un professionista del settore. E anche se sai davvero bene una seconda lingua, non sei in automatico un traduttore. 3. Un bilingue è avvantaggiato Non per forza. Alcuni bilingue sono ottimi traduttori perché hanno intrapreso un percorso formativo specifico, ma esere bilingue non ti trasforma in automatico in un traduttore. 4. Per tradurre un testo breve ci vuole poco tempo Dipende dal testo! A volte possiamo soffermarci sulle stesse due parole per mezz'ora e non riuscire comunque a capire quale sia la traduzione corretta. La difficoltà di un testo non dipende solo dalla sua lunghezza, ma da tanti altri fattori. 5. Per tradurre testi tecnici non serve saper scrivere bene Ahi, come soffro. Un traduttore è, prima di tutto, uno scrittore. Certo, a seconda dell'ambito in cui si lavora non sono richieste doti creative, ma qualunque testo ha il requisito fondamentale di essere chiaro e immediato. Provate a immaginare un manuale di istruzioni scritto in modo contorto e magari con un largo uso di sinonimi: il disastro domestico è dietro l'angolo! Vi vengono in mente altri miti da sfatare? |
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Francesca PerozzielloLe mie riflessioni sul mondo della traduzione e non solo. Archives
May 2023
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