Foto di nugroho dwi hartawan da Pixabay Per iniziare al meglio la settimana lavorativa, ho deciso di sfatare 5 falsi miti sul lavoro del traduttore: 1. Traduttore = dizionario umano No, non siamo dizionari umani. Non mi stancherò mai di ripeterlo! Conosciamo tantissime parole/modi di dire/proverbi sia nella nostra lingua madre sia nelle lingue da cui traduciamo, ma di sicuro non siamo dizionari ambulanti. 2. Per fare il traduttore basta sapere bene [inserire lingua] I famosi quattro giorni a [inserire città] non fanno di te un professionista del settore. E anche se sai davvero bene una seconda lingua, non sei in automatico un traduttore. 3. Un bilingue è avvantaggiato Non per forza. Alcuni bilingue sono ottimi traduttori perché hanno intrapreso un percorso formativo specifico, ma esere bilingue non ti trasforma in automatico in un traduttore. 4. Per tradurre un testo breve ci vuole poco tempo Dipende dal testo! A volte possiamo soffermarci sulle stesse due parole per mezz'ora e non riuscire comunque a capire quale sia la traduzione corretta. La difficoltà di un testo non dipende solo dalla sua lunghezza, ma da tanti altri fattori. 5. Per tradurre testi tecnici non serve saper scrivere bene Ahi, come soffro. Un traduttore è, prima di tutto, uno scrittore. Certo, a seconda dell'ambito in cui si lavora non sono richieste doti creative, ma qualunque testo ha il requisito fondamentale di essere chiaro e immediato. Provate a immaginare un manuale di istruzioni scritto in modo contorto e magari con un largo uso di sinonimi: il disastro domestico è dietro l'angolo! Vi vengono in mente altri miti da sfatare?
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Ho un'intervista di lavoro. Ho inviato la mia applicazione. Due frasi, due errori. Se fosse un quiz a premi, ora partirebbe il suono di un enorme pulsante rosso, pronto a squalificarmi dal gioco. Sono sicura che in tanti, non solo fra i colleghi traduttori, siano stufi di certi orrori linguistici che infestano l'ambito lavorativo, sia nello scritto sia nel parlato. Mi riferisco a quella pletora di calchi e prestiti che rientrano nel cosiddetto "itanglese", una creatura ibrida fra inglese e italiano che vive e si nutre della pigrizia dei parlanti. Lo so, andiamo di tutti di fretta. Siamo sempre di corsa e le nostre parole sembrano dover sottostare agli stessi ritmi incessanti. Non c'è tempo per tradurre, per articolare i pensieri in modo complesso e organizzato. È molto più facile usare, anzi, ab-usare di una parola già pronta, già confezionata, che consente il minimo sforzo e il massimo (?) rendimento. Non dico tutto questo per ergermi a paladina della lingua italiana, per quello esistono già persone e istituzioni più qualificate di me. Però vorrei chiedere a tutti di rallentare. Fermiamoci, ogni tanto, e poniamoci la seguente domanda: questa parola esiste anche nella mia lingua? Il più delle volte, se ci pensate, la risposta è sì. E ora mi rivolgo a voi: qual è il termine itanglese che proprio non sopportate? Sono curiosa! New week, new keyboard. Today I've started working with a brand new tool! A few days ago, I received this gorgeous mechanical keyboard as an anniversary gift from my husband. I've always been a huge fan of Logitech products, especially of Logitech headphones, and I can't wait to use this tool. Despite being designed for gamers, it works really well also for audiovisual translators. In fact, you don't have to press the keys hard, you only need to touch them! As an audiovisual translator and a gamer as well, I'm pretty sure my work will benefit enormously from this tool. ✨ Oggi, 16 giugno 2021, sbarca su Netflix Law School, serie TV sudcoreana ambientata in una prestigiosa Facoltà di Legge. ❗️ Tre buoni motivi per non lasciarsi sfuggire questa serie originale Netflix: 1. Vi terrà con il fiato sospeso 2. Il cast è di altissimo livello 3. La sottotitolazione italiana è a opera di Paola Forcellini, Francesca Perozziello e Carlotta Capobianco 🎬Sì, parlo in terza persona come Giulio Cesare, ma lo faccio perché ci tengo a farvi conoscere questa serie che noi traduttrici abbiamo amato alla follia. Buona visione! Inviare una traduzione è un po' come salutare un amico che va a lavorare dall'altra parte del mondo. Nonostante videochiamate, messaggi e email, sarà comunque lontano migliaia di chilometri. È come se un pezzetto di noi se ne andasse per qualche tempo in un luogo irraggiungibile. Ecco, quando premo il tasto "Invia" e saluto la mia traduzione, avverto spesso questa sensazione. Dopo aver trascorso giorni, settimane o addirittura mesi in compagnia degli stessi personaggi, salutarli è davvero difficile. Anche se vivono nel regno della fantasia (detto così ricorda molto gli Orsetti del cuore), i personaggi a cui diamo voce assumono caratteristiche molto concrete. Noi traduttori dobbiamo calarci nel testo, assaporarne ogni sfumatura e particolare, e per farlo è necessario che le storie e i dialoghi sembrino veri. Che risultino credibili. Studiamo nel dettaglio sogni, paure e aspirazioni dei personaggi e curiamo la resa delle loro storie. Sarà per questo che avvertiamo un po' di nostalgia quando arriva il momento di inviare i testi al cliente. Vi capita mai di provare questa sensazione? Lavorare da freelance permette di avere clienti in tutto il mondo. Fra gli aspetti che amo di più del mio lavoro c'è proprio la possibilità di avere clienti sparsi ai quattro angoli del pianeta. Qualche giorno fa, riflettendo su questo aspetto della mia professione, mi sono resa conto di avere solo pochissimi clienti con sede in Italia. La cosa non mi ha affatto rattristata, anzi! Il fatto che le traduzioni a cui lavoro con tanta passione provengano da luoghi ben lontani rispetto a quello in cui vivo mi ha riempita di felicità. Il compito di noi traduttori e traduttrici, infatti, è quello di divulgare opere che sono state pensate e scritte in un'altra lingua e che appartengono a un'altra cultura. Mi piace pensare che le traduzioni possano avvicinare popoli lontani geograficamente. Forse peccherò di presunzione, ma credo che i traduttori e le traduttrici siano dei veri e propri "traghettatori" di lingue e culture. Ho da poco recuperato, grazie a una nota piattaforma, uno dei miei film preferiti.
Si tratta de I visitatori, pellicola del 1993 diretta da Jean-Marie Poiré e considerata fra i film francesi di maggior successo di sempre. Per chiunque sia interessato al mondo della traduzione e dell'adattamento dei dialoghi, questo film rappresenta una vera e propria perla. Un cavaliere senza macchia e senza paura, Goffredo l'Ardito (Jean Reno), viene catapultato nella Francia dei giorni nostri (o meglio, del 1993) insieme al suo valoroso scudiero, Jean Cojon detto il Marpione (Christian Clavier). Le abitudini e il modo di parlare di due uomini medievali non corrispondono esattamente a quelli contemporanei, il che fa scaturire un effetto domino di equivoci e brutte figure, che più di una volta riescono a far sentire in imbarazzo persino lo spettatore. L'adattamento italiano, a mio avviso uno dei migliori adattamenti mai realizzati (se non il migliore), riesce pienamente nel suo obiettivo. Il linguaggio forbito e arcaico di Goffredo si pone da subito in contrasto con quello dei giorni nostri, aumentando a dismisura l'effetto comico. La sceneggiatura punta tutte le sue carte sull'effetto di meraviglia e sdegno che la modernità suscita nel cavaliere medievale, il cui motto è "Ch'io deceda se recedo!". Nel ruolo della spalla comica troviamo Christian Clavier, noto al grande pubblico per la saga di Asterix, a cui sono affidate le gag più fisiche e scurrili. Il doppiaggio italiano si avvale di Gigi Proietti e Leo Gullotta, che prestarono le voci rispettivamente a Reno e Clavier. Le loro ottime performance attoriali hanno contribuito non poco alla godibilità di questo film, i cui dialoghi risultano brillanti anche a distanza di quasi trent'anni. Nonostante le mie ricerche, non sono riuscita a capire chi sia l'autore dei meravigliosi dialoghi italiani. Se fra voi lettori c'è qualcuno che ha svelato l'arcano, non abbia paura e me lo faccia sapere. E ora... "Tacchi, messere, tacchi!" Ho il terrore di sbagliare.
Non so voi, ma la sola idea di commettere un errore di traduzione mi spaventa a morte. Prima di consegnare una traduzione, infatti, ho l'abitudine di rileggerla in modo maniacale. Controllo che non ci siano errori ortografici, rileggo il testo da cima a fondo per verificare di averne rispettato la coerenza, cerco in modo spasmodico le fonti più attendibili e, se necessario, mi consulto con chi ne sa più di me su un determinato argomento. Da quando utilizzo LinkedIn, per fortuna, mi sono accorta di non essere sola. Sarà che, per nostra natura, noi traduttori tendiamo a vivere come eremiti, quindi a vedere in modo assoluto e irripetibile tutto quello che ci capita. In realtà, se ci guardiamo attorno (anche virtualmente), ci accorgiamo di essere in buona compagnia. A quanto pare, sembra che la paura di sbagliare sia un elemento che accomuna molti traduttori. La famosa sindrome dell'impostore, quell'odiosa vocina interna che ci ripete "no, non ce la farai", oppure "hai solo avuto fortuna, vedrai cosa ti succederà la prossima volta", accompagna costantemente una moltitudine di professionisti. Eppure mi viene da pensare che questo terrore di sbagliare sia fondamentale, per noi traduttori. Certo, non deve toglierci il sonno e interferire con le nostre vite, però è un ottimo modo per spronarci. È come avere un "revisore interno" che continua a dirci che dobbiamo migliorare, che possiamo limare ancora di più la nostra traduzione e andare alla ricerca delle parole giuste. Succede anche a voi? Fatemelo sapere! Foto di Prettysleepy da Pixabay Traduttori freelance: eremiti socievoli. Quando iniziai a lavorare come freelance, la possiblità di starmene in totale solitudine era in cima alla mia lista dei pro e dei contro. Nella colonna dei pro, ovviamente. Non ho mai avuto grossi problemi a trascorrere del tempo da sola e adoro organizzare le mie giornate come meglio credo. È anche vero che noi freelance siamo, a tutti gli effetti, dei piccoli imprenditori. Dobbiamo cercare nuovi clienti, rimanere in buoni rapporti con quelli storici, e spesso ci troviamo a comunicare con i colleghi per parlare di un progetto condiviso. Ebbene sì, anche i freelance parlano con altri esseri umani, non solo con i propri CAT Tool - perdonate il tristissimo gioco di parole. Spero che la mia gatta non ci rimanga male, ma comunicare con altre persone è fondamentale per la mia salute mentale, anche se sono la tipica traduttrice introversa. Trascorro la maggior parte del tempo nel mio ufficio domestico, quindi ammetto che un sano scambio di idee o una chiacchierata con i colleghi può farmi solo bene. Da questo punto di vista, LinkedIn ha avuto un ruolo fondamentale. Sì, mi ritengo ancora una specie di eremita, ma ora so di far parte di una piccola comunità. Grazie a post, messaggi e articoli ho la possibilità di scambiare due parole con colleghi che vivono davvero in tutto il mondo. E questo non può che avere effetti positivi su di me e sul mio lavoro. Siete anche voi degli eremiti socievoli? Oppure degli eremiti e basta? In entrambi i casi sarò felici di sapere cosa ne pensate. Foto di Steve Buissinne da Pixabay Da qualche giorno guardo una serie TV che mi sta appassionando parecchio.
Si tratta di una serie francese, di genere comico, ben scritta e ben recitata. Anche l'adattamento e il doppiaggio italiani, nel complesso, sono davvero godibili. Dialoghi brillanti e divertenti, spesso al servizio dell'ironia pungente che caratterizza i protagonisti, battute salaci e riferimenti alla cultura francese rendono questo adattamento piuttosto fluido. Nella seconda stagione, però, mi sono imbattuta in uno spiacevole "scivolone" da parte del dialoghista, una vera e propria buccia di banana. Due personaggi, che sappiamo essersi conosciuti ai tempi delle medie, discutono animatamente. Ed ecco che uno dei due dice all'altro: "Ma dai, abbiamo frequentato il college insieme!" Brivido lungo la schiena. Momenti di puro terrore. Ricordo ai lettori che stiamo parlando di una serie francese, per di più ambientata a Parigi, quindi non c'è nemmeno il lontano sentore di Stati Uniti e dintorni. Ora vi spiego il motivo del mio profondo stupore. Il termine collège, in francese, indica la scuola media, non l'università! Errare è umano, è vero. Ma qui parliamo di un prodotto di alto livello, prodotto in esclusiva per la famosa piattaforma che inizia per "N". Come se non bastasse, si tratta della seconda stagione, non della prima, quindi l'ambientazione e i personaggi sono già stati delineati e descritti con dovizia di particolari. La morale è: attenzione ai falsi amici, sono davvero dietro l'angolo... Foto di Robin Higgins da Pixabay 💡 Working for free.
🎉 Today is Labour Day. Yet I open my Facebook home page and I see, in a group of which I am a member, a rather singular request. A video game developer is looking for volunteer translators to translate a game into various languages. 💻 My first reaction, of course, was to get nervous. I do this job for a living, not (just) for fun. I find it unacceptable that some pseudo-translator offers to work for free, especially on such an important occasion. 💶 Okay, there are some cases where working for free makes sense. We can translate videos that will benefit other people, we can contribute to enhancing monuments or other places, we can help those who need it most. In short, lending our knowledge and skills without earning money sometimes makes sense. 📆 But when a professional is asked to invest precious time "for glory", I get very nervous. What are the top qualities of a professional translator? How can you distinguish a professional one from an amateur? Well, this is the hardest question to answer. Since I have been working as a translator and subtitler for some years now, I wrote down a list of the top 4 qualities that an excellent translator should have. 1. Punctuality Respond to emails on time, especially when your clients ask for your availability for a new project, is crucial. But punctuality also means to meet your deadlines: if the project needs to be delivered by Monday at noon, you cannot send it on Tuesday at 3:00 pm. 2. Precision A good translator is, first of all, a grammar nazi. Perfect use of grammar and spelling - in their native language - is a simple way to distinguish those who professionally work in this field from those who think that being a translator is a "funny way" to supplement their monthly income. No, being a translator is not a hobby. 3. Respect Being respectful to your clients: do not disclose confidential material, even if they do not ask you to do so. You cannot tell to your friends what will happen in the next episodes of the TV series you are currently translating. Also, being respectful to other translators is essential. They do your same job; they have studied as much as you have; they have deadlines to meet and bills to pay. 4. Curiosity A translator loves to capture every single change in the world around him/her. A new word used by youngsters, a small particular that went unnoticed by most of the people. Keeping up to date is fundamental to know the field in which you work, be it audiovisual, marketing or food and wine. "Essere Saltborn è quello di essere un frammento di morire di eternità" No, non sto delirando. Questo è semplicemente un breve estratto della traduzione italiana di Salt and Sanctuary, meglio noto come Sale e santuari, videogioco reso celebre da Yotobi qualche anno fa. Ho guardato la sua recensione per un numero di n all'infinito, ma riesco ancora a sbellicarmi dalle risate come fosse la prima. Se non avete presente il video a cui mi riferisco, vi invito a recuperarlo a questo link: www.youtube.com/watch?v=XydKXu-AnEA&t=44s Perché ho deciso di tirare in ballo questa perla della traduzione videoludica in un articolo incentrato sulle migliori traduzioni di videogiochi? Be', per mettere le cose in chiaro. Ora che abbiamo visto come non si traduce un videogioco, vediamo cosa rende speciale un prodotto la cui traduzione non ha niente da invidiare al testo di partenza. Per quanto mi riguarda, vuoi per snobismo o per deformazione professionale, credo che la localizzazione italiana di un videogioco debba rispettare appieno lo spirito originale di quel prodotto. Romanticismo, avventura, adrenalina, qualunque sia il filo conduttore, pretendo di ritrovare nella versione italiana le stesse caratteristiche, lo stesso sapore. Non dimentichiamo che, per molti versi, il videogioco è una forma narrativa ibrida. Da un lato, infatti, dobbiamo fornire indicazioni precise al nostro utente e quindi avvalerci di strumenti quali i CAT tools. Proprio come nella traduzione di un manuale d'istruzione, dovremo essere chiari e concisi, nonché coerenti dal punto di vista dello stile e della terminologia. Altrimenti, non saremo in grado di spiegare al nostro gamer funzioni basilari come sparare, saltare o interagire con gli altri personaggi. Un videogioco, però, è fatto anche di dialoghi e cutscene, elementi che richiedono molta creatività e una traduzione tutt'altro che letterale. Fra i titoli a cui ho giocato nell'ultimo anno, ammetto di aver amato alla follia il quarto capitolo di Uncharted 4. Dialoghi tradotti in modo impeccabile, un doppiaggio coinvolgente e una scelta delle voci che rende un ottimo servizio al gioco in questione. Unica pecca, quella che chiamerò "la villa degli italiani". Non voglio scendere troppo nel dettaglio per evitare di spoilerare, ma chi lo ha giocato ha capito benissimo a cosa mi riferisco. Per farla breve, ad un certo punto Nathan Drake si trova in Italia, all'interno di una villa popolata da gente piuttosto facoltosa. Nel doppiaggio italiano si è scelto di mantenere le stesse voci originali, peccato che appartenessero a doppiatori italo-americani di seconda o terza generazione. Il risultato? Una recitazione che, per l'orecchio di un madrelingua italiano, fa lo stesso effetto di certi meme che ritraggono noi italiani con la mano "a carciofo". Detto questo, Uncharted 4 gode di un ottima traduzione, anche meglio dei precedenti capitoli della saga. Missione compiuta! Un'altra saga, a mio avviso particolarmente riuscita, è quella dei prodotti a marchio LEGO. Sviluppati da TT Games, questi titoli si contraddistinguono per un forte senso dell'umorismo e un'autoironia non semplici da riprodurre in italiano. Eppure, anno dopo anno, da Indiana Jones a Pirati dei Caraibi, passando per Il Signore degli Anelli e Jurassic World, i simpatici mattoncini in formato digitale riescono a intrattenere e divertire in modo genuino. La scelta di proporre videogiochi tratti dalle saghe cinematografiche più amate e di trasformarli in omini squadrati rappresenta, a mio parere, un'intuizione geniale. Dialoghi freschi, riferimenti ad altre saghe e battute salaci hanno contribuito al successo di questi prodotti presso varie fasce d'età, dall'infanzia all'età adulta inoltrata. Se ve lo state chiedendo, la risposta è "sì", adoro giocare ai suddetti titoli. Presa da un'irrefrenabile botta di nostalgia, qualche giorno fa ho deciso di acquistare su Steam l'extended edition di Age of Mythology, celebre spin-off di Age of Empires. Proprio come mi ricordavo, le ambientazioni mitologiche e i dialoghi altisonanti di questo gioco possono godere di una traduzione italiana epica e solenne, che ci permette un'esperienza di gioco davvero unica. Anzi, come si dice nel 2021, "immersiva". Non amo affatto questo aggettivo che mi sa tanto di calco dall'inglese, ma devo dire che la ricchezza della traduzione italiana permette all'utente di calarsi perfettamente nella vicenda. Restando in ambito mitologico, ma di tutt'altro genere, vorrei parlarvi della traduzione italiana di Immortals: Fenyx Rising. Anche qui, ovviamente, eviterò spoiler clamorosi. Per farvi capire l'ambientazione, immaginate una fusione fra Assassin's Creed (della stessa Ubisoft) e Zelda. Bene, ora che vi ho catapultati in un open world pieno di funghetti blu e divinità capricciose, pensate a quanto sia stato difficile tradurne i dialoghi. Doppi sensi più o meno velati, riferimenti mitologici, insulti eleganti e descrizioni suggestive contribuiscono a rendere Fenyx e gli altri personaggi quanto mai interessanti e ricchi di sfaccettature. Sperando di non essermi lasciata prendere troppo la mano dalla deformazione professionale, vi do appuntamento al mio prossimo post! Tradurre e viaggiare. Viaggiare traducendo. Tante volte, quando parlo del mio lavoro a chi ne sa poco o nulla, mi sento chiedere: "Ma i traduttori viaggiano?". Sarò sincera, il nostro lavoro non prevede emozionanti viaggi intercontinentali o trasferte in chissà quali località remote. I nostri grandi viaggi, al massimo, hanno luogo dalla scrivania al frigorifero. Detto ciò, abbiamo la possibilità di compiere altri viaggi, altrettanto entusiasmanti. Ogni traduzione, infatti, rappresenta un mondo a sé. Ho da poco terminato la traduzione di un visual novel che ho amato moltissimo. Mi sono affezionata alla protagonista e a tutti i personaggi che compongono il suo universo narrativo. Grazie a lei ho imparato la terminologia del golf, sono andata in un poligono di tiro, ho solcato il mare a bordo di uno yacht e sono sopravvissuta a diversi tentativi di rapimento. A distanza di pochi giorni mi sono cimentata nella traduzione di alcuni documentari incentrati sul mondo dello skateboard, argomento del quale sapevo poco o nulla. Ho studiato, mi sono documentata, e alla fine sono "partita" con il protagonista alla scoperta dei migliori skatepark, dalla Cina alle Hawaii, dagli Stati Uniti alla Germania. Per non farmi mancare niente, ho accompagnato alcuni musicisti alla ricerca del suono perfetto. Ho percorso centinaia di chilometri, a piedi e in autobus, alla ricerca dei suoni più autentici che Turchia e Russia avevano da offrire. E l'ho sempre fatto in modo discreto, senza far sentire la mia voce. Ho seguito silenziosamente i protagonisti di queste meravigliose avventure, ma sono riuscita a fare tesoro delle loro esperienze come fossero le mie. Sì, perché quando premo il tasto "Invio", ho sempre la sensazione di spedire una sorta di diario di viaggio. Sviluppo un attaccamento morboso nei confronti delle mie traduzioni, quasi mi dispiace il fatto di doverle condividere con il mondo. Ma allora, i traduttori viaggiano? La risposta è "sì". Viaggiano parecchio. Il 12 febbraio 2021 ho festeggiato un piccolo traguardo di cui vado molto fiera. Ha infatti visto la luce il mio saggio, Miller vs Nolan, pubblicato da Alter Ego Edizioni.
Il Cavaliere Oscuro è da sempre il mio supereroe preferito, sempre che di supereroe si possa parlare. Sono quindi entusiasta di aver potuto dedicare un intero saggio al confronto fra le opere di Frank Miller e quelle di Christopher Nolan, e al modo in cui entrambi hanno raccontato le vicende dell'uomo pipistrello. Fumetti, film, cartoni animati, serie TV... Batman ha attraversato decenni e media diversi, ma non ha mai smesso di affascinare il grande pubblico. Un eroe oscuro, complicato, pieno di luci e ombre, forse più ombre che luci. Ma ora basta parlare! Se avete voglia di leggere il mio libro, ecco dove potete trovarlo: Miller VS Nolan Foto di Arek Socha da Pixabay Fra i lavori meno noti al grande pubblico, credo che quello del traduttore occupi un posto di riguardo.
Tutti hanno (più o meno) presente in cosa consista il lavoro dell'interprete, ma nessuno sa davvero come trascorra le sue giornate un traduttore. Questo essere mitologico e misterioso che fa della scrivania la sua vera dimora opera secondo logiche non sempre comprensibili. Per quelli di noi che scelgono di specializzarsi in ambiti creativi, come ad esempio l'audiovisivo, entrano in gioco diversi fattori. Proprio come i colleghi che si occupano di traduzioni tecniche, anche noi ricorriamo a glossari, software di traduzione e varie diavolerie tecnologiche in grado di snellire il nostro lavoro. Ovviamente le suddette diavolerie ci vengono incontro nei momenti non creativi dell'opera di traduzione. Chi lavora nel settore sa bene che possiamo contare sui CAT tool, i software di traduzione assistita, utilissimi quando si tratta di ripetere sempre allo stesso modo una certa stringa di testo, nel mio caso le istruzioni dei videogiochi. Ma quando si parla di creatività, non c'è software che tenga. Ed è lì che entra in gioco la mente del traduttore, il suo bagaglio personale di esperienze, letture, emozioni, oltre che il suo modo di percepire il testo. Se è vero, come credo, che il traduttore sia un "secondo scrittore", in quanto riscrive completamente il testo nella propria lingua, sorge spontanea una domanda: anche il traduttore è soggetto al blocco dello scrittore? Ma soprattutto: anche per noi traduttori vale la logica dell'ispirazione? Mi sento di rispondere ad entrambe le domande con un bel "sì". Ora mi spiego meglio. Sento spesso dire che il traduttore non vive, a differenza dell'autore che traduce, la tragica fase del blocco dello scrittore. Il foglio che resta bianco, la frase che proprio non si completa. Eppure sono certa che a tanti colleghi sia capitato di arrovellarsi per riuscire a trovare il gioco di parole perfetto. O il proverbio calzante. O un nome parlante da rendere con la stessa ironia dell'originale. Anche per noi, dunque, vale lo stesso meccanismo, forse in maniera più attenuata e privilegiata. Che cosa fare, dunque, quando la traduzione giusta non ne vuole sapere di saltar fuori? In base alla mia esperienza, direi che ci sono due strade percorribili. La prima è staccare completamente per qualche minuto, anche mezz'ora, e dedicarsi a tutt'altro. Sì, lo so, a volte il tempo d'attesa si dilata drasticamente. La seconda via percorribile è quella della ricerca. Da bravi topi di biblioteca quali siamo, noi traduttori possiamo addentrarci nei meandri della rete e cercare proprio lì il consiglio giusto, magari attingendo al florilegio di espressioni idiomatiche che caratterizza la nostra lingua madre. Avevate mai pensato al binomio "traduttore/ispirazione"? E, se siete colleghi traduttori, come reagite quando vi capita? Fatemelo sapere! Ci siamo. Il nuovo anno è alle porte.
Apro la home di Facebook e già mi imbatto in post interminabili che tirano le somme del 2020, forse perché chi li scrive sente il bisogno di autoconvincersi dei propri traguardi o pseudo tali. Non ho mai amato questo genere di post, ho sempre avuto l'impressione che siano scritti per dimostrare a se stessi, oltre che ad amici e parenti, che non tutto è stato da buttare. Che sì, la vita è piena di problemi, ma i veri guerrieri escono a testa alta anche dalle sfide più dure e bla, bla, bla... Invece di fare un bilancio dell'anno che sta per finire, trovo più costruttivo stilare una lista di quello che si intende cominciare, interrompere o portare a termine nell'anno che verrà. Lo so, anche l'elenco dei buoni propositi non è certo la più originale delle idee, ma almeno ci permette di uscire dalla palude dell'autocompiacimento. Mi sono recentemente imbattuta in una lista dei 100 buoni propositi più amati da uomini e donne di tutto il mondo. Accanto ai più prevedibili, come "fare ginnastica ogni mattina" o "passare meno tempo su Internet" ne ho trovati alcuni davvero impensabili, fra cui "provare una nuova miscela di caffè" e "essere più spirituale". Forse qualcosa mi sfugge. Non credevo fosse necessaria una lista, per acquistare un caffè diverso dal solito! Né sospettavo che fosse necessario mettere nero su bianco il desiderio di elevare il proprio spirito. È proprio vero, si impara ogni giorno qualcosa di nuovo... Detto ciò, ecco i miei buoni propositi per il 2021: - ritagliarmi più tempo per me stessa - ridurre il consumo di plastica (sì, ne compro ancora troppa!) - dormire di più - ricordarmi di fare spesso il backup del computer - smetterla di lamentarmi senza motivo E voi, invece, quali buoni propositi avete? Iscrivervi in palestra, smettere di fumare o telefonare a un amico che non sentite da tempo? Fatemelo sapere! Ricordate quando, alle elementari, vi ponevano la fatidica domanda: "Che lavoro vuoi fare da grande?".
Ingegnere aerospaziale, veterinario, vigile del fuoco, camionista, chirurgo... La fantasia dei bambini si sbizzarrisce e vola verso professioni più o meno facili da raggiungere, magari in linea con l'ultimo film o cartone animato visto. Per quanto mi riguarda, ho sempre avuto due priorità: 1. guadagnarmi da vivere scrivendo 2. lavorare da casa Certo, a otto anni avrei probabilmente risposto: "Da grande farò la poetessa". Oppure: "Ma è ovvio, la giornalista!". Alcune cose cambiano, con il passare del tempo, ma nel mio caso non è assolutamente cambiata la volontà di rispettare i due obiettivi che mi ero prefissata. Terminata anche la parentesi adolescenziale (peraltro poco realistica) del "Farò l'attrice teatrale e sceneggiatrice", ho iniziato seriamente a pensare al lavoro che mi avrebbe permesso di raggiungere quei due scopi. Dato che lavoro come traduttrice freelance ormai da alcuni anni, ho deciso di buttare giù due righe per analizzare quello che mi piace di più di questa professione e quello che, invece, potrei/dovrei cambiare. Se anche voi lavorate come freelance o state pensando di farlo, seguitemi in questa avventurosa lista. Perché amo lavorare da freelance Prima di tutto, come anticipato al punto due dei miei desideri infantili, lavoro da casa. Questo significa che sono libera di: 1. organizzare le mie giornate come meglio credo 2. vestirmi come desidero, di solito in tuta 3. accettare le traduzioni che rispettano i miei requisiti professionali 4. arredare il mio studio in stile Batman/Star Wars senza che nessuno abbia da ridire 5. fare pause quando lo ritengo necessario Detto così, me ne rendo conto, sembra tutto rose e fiori. Ma per poter godere appieno dei cinque punti che ho elencato, va detto che è necessaria una notevole disciplina. Sì, perché lavorare in tuta non significa trascurarsi, ma solo essere più comodi. Poter fare una pausa non significa aprire il frigorifero ogni due secondi o guardare tutti i video che ci propone YouTube. Ultimo ma non ultimo, organizzarsi come meglio si crede implica saper gestire il proprio tempo, non solo a breve ma anche a lungo termine. Se non siete in grado di lavorare autonomamente e sapete che Netflix o Disney Plus sono una tentazione troppo golosa, lasciate perdere. Optate per un lavoro in cui sia qualcun altro a organizzarvi orari, giornate, pause pranzo e ferie. Non esiste una strada migliore di un'altra o un lavoro migliore dell'altro: esiste lo stile di vita che fa per noi e quello che, invece, dobbiamo evitare come la peste. Ora che ho elencato i motivi per cui amo alla follia il mio lavoro, passiamo alle note dolenti. Il rischio più grande, quando si lavora da casa, è quello di non riuscire a smettere! Anche dopo 8/9 ore al computer, davvero non voglio lasciare andare la mia traduzione. Ancora una frase, giusto per finire il discorso. Ancora un paio di sottotitoli, così finisco la scena. E invece, a una cert'ora, dovremmo interrompere qualsiasi attività e metterci a fare altro. Altro grande problema di noi freelance: gestire la contabilità! Sì, perché come imprenditori di noi stessi, dobbiamo inviare una marea di fatture e non far impazzire il commercialista. Dato che il freelance esercita, molto spesso, una professione creativa (traduttore, grafico, disegnatore...), non è sempre in grado di coniugare le parole "creatività" e "razionalità". O almeno, questa è la mia esperienza. Lavorare da casa, dunque, presuppone una notevole organizzazione. Ho una buona notizia per quelli di voi che vogliono intraprendere una professione da freelance: anche questa capacità di affina con il tempo. Come per molti ambiti della vita, c'è solo bisogno di allenamento. Giorno dopo giorno, mese dopo mese, riusciamo a trovare i nostri ritmi e i nostri spazi e dedicarci anche ad altre attività. Vi ho convinti? Vi ho spaventati? Fatemelo sapere! Me misero, me tapino! Sono stato turlupinato!
Se avete una certa familiarità con i fumetti Disney, riconoscerete sicuramente l'autore di queste frasi. Ebbene sì, si tratta di Zio Paperone. Nato dalla penna di Carl Barks nel 1947, Scrooge McDuck ha fatto davvero tanta strada. Nell'edizione italiana di Topolino e degli altri fumetti di casa Disney, il personaggio di Zio Paperone ha conquistato il grande pubblico anche grazie al suo lessico forbito. Molti lettori italiani, infatti, devono ringraziare il papero più ricco del mondo per aver insegnato loro nuovi vocaboli e modi di dire. Fra gli aggettivi che associo di più a questo personaggio, sono particolarmente affezionata a "satollo", che Paperone utilizza ogni volta che ha mangiato troppo. Ovviamente, quando si autoinvita da Paperino. A cose normali, come ben saprete, lo zione è piuttosto "parsimonioso" in fatto spese alimentari, altro aggettivo che lui adopera per definire se stesso e il suo rapporto con il denaro. Credo che i lettori di fumetti Disney, almeno per quanto riguarda l'edizione italiana, debbano tantissimo ai paperi e ai topi che popolano queste meravigliose storie e che, ormai da decenni, ci fanno emozionare e divertire. Un altro personaggio a me particolarmente caro è Pico De Paperis, il sapientone di famiglia. Il suo amore per la conoscenza lo ha portato ha conseguire un numero inimmaginabile di lauree, numero che non smette mai di crescere. Fra i suoi titoli possiamo ricordare: Frittellologia, Termodinamica dei soufflé, Galateologia & affini... L'elenco sarebbe ancora mooolto lungo, ma ho voluto ricordare queste lauree perché amo il modo in cui gli sceneggiatori Disney si divertono a giocare con le parole e con i titoli accademici. In generale, ciò che ho sempre amato dei personaggi Disney è l'uso di termini arcaici, dal sapore desueto, che però contribuiscono ad arricchire notevolmente il nostro modo di pensare e di esprimerci. Penso che un lettore Disney si riconosca facilmente: fin dall'infanzia, infatti, porta con sé una serie di espressioni e di parole che raramente troveremmo da altre parti. Un altro elemento che caratterizza queste sceneggiature è la totale assenza di linguaggio scurrile. Nelle storie un po' più vecchiotte, quelle che ho avuto modo di leggere in quanto residui dell'infanzia dei miei genitori, gli insulti erano più coloriti, tendenza che è andata a perdersi. L'anno scorso ho avuto modo di assistere a una bellissima presentazione da parte di Roberto Gagnor, uno degli autori della scuderia Disney che seguo con più interesse. Parlando delle sue sceneggiature, Gagnor ha ricordato che è proprio la presenza di alcuni vincoli, il fatto cioè di non poter parlare di argomenti come malattie, guerre o morte, che permette agli autori di essere così creativi. Di fronte all'ostacolo, la mente dello scrittore si deve attivare per trovare nuove soluzioni. E la lingua va di pari passo, alla ricerca di dialoghi e storie sempre più accattivanti, senza mai perdere il contatto con la realtà che circonda la carta stampata. Continuerò a leggere i fumetti Disney ancora per molti anni e spero che lo facciate anche voi! L'autunno è senza dubbio la mia stagione preferita.
Tale affermazione lascia sempre perplessi, ma io proprio non capisco cosa ci sia di strano. L'allergia mi dà un po' di tregua, non tantissima ma almeno non boccheggio, la gente chiude in un cassetto la smania di affollare strade e locali, il caldo non bussa alla mia porta costringendomi a lavorare in una specie di sauna. Sono giunta alla conclusione che l'autunno sia la stagione ideale per noi traduttori, forse perché induce a trascorrere tante ore con un bella tisana calda in mano, chiusi in casa, mentre fuori piove. Chi meglio di noi, già abituato a questo stile di vita, può apprezzare al meglio le gioie meditative di questa stagione? Seduta sulla mia comoda poltrona, mouse verticale (per mancini) alla mano, eccomi a tradurre il nuovo testo da-consegnare-prima-di-subito. Già, le indicazioni dei clienti non conoscono grosse differenze, da una stagione all'altra, ma il clima sembra favorire la modalità ascetico-meditativa che per diverse ore alla settimana ci sottrae alla vita civile. Non che questo mi dispiaccia, ben inteso. Mentre scrivo queste righe mi chiedo come sarà l'autunno appena iniziato, che fra Covid e negazionisti si prospetta mooolto lungo. Quel che è certo che trascorrerò gran parte del tempo barricata nel mio piccolo studio, immersa in una nuova avventura traduttiva, pronta a lasciarmi trasportare in altri luoghi e in altri tempi. Buone traduzioni d'autunno! As a video-game translator and gamer, I feel called in question.
I'm often asked, almost with amazement: Do you translate video games? Or: Do you really know how to use a PS4? I do not intend to raise controversy, but I am deeply annoyed that, in 2020, it is still so strange to accept the fact that a woman plays video games daily or translates them. We often talk about great taboos linked to what women "can" or "cannot" do. Still, it's not uncommon for someone to turn their nose up when they learn that you, a girl (or a woman), in your spare time, devote yourself to a hobby that should be the prerogative of your brother/husband/boyfriend. Thank goodness that doesn't always happen. But those rare times when I happen to be asked such questions, my irritation skyrockets. For the next two hours I can't help but think about the arrogance with which I'm asked, in a somewhat patronizing tone: Wow, you play too? And now to my question: When are we going to stop being surprised that a woman makes a living playing video games? Hopefully soon. I'm sure among my LinkedIn connections, many other women will feel the same way. I hope that, in a few years, even friends and acquaintances will understand that to translate video games you need to know the subject and be able to adapt it to the target audience. These are the requirements. Where is the line between these two mindsets? I often wonder about that.
We, freelancers, spend most of our time in front of a PC and, as much as social networks help us get in touch with colleagues, we often stay alone with our thoughts. We are told, not only in the world of translation but in many areas, that to be successful in life we need to believe in ourselves. We must think positively, stand up for ourselves, carry on what we believe in. But then the question arises: to what extent do I believe in myself, and when does presumption take over? It seems a simple question, but I have not yet found the answer. We study, we inquire, we document. We talk to colleagues and confront them. Before sending a translation, we read it a thousand times, to make sure we have sent an impeccable work. But even when our efforts are rewarded, something always leaves us unsatisfied. Have I done enough? Could I do more? We always have to confront ourselves and learn to live with the many aspects of our personalities. What do you think? Vezzeggiativi, anglicismi e altre creature leggendarie che popolano le nostre tavole. Metto le mani avanti: sono sempre stata un po' snob e conservatrice, in ambito di "evoluzione della lingua".
Già, perché la lingua davvero "si evolve" o si limita a incorporare nuovi termini e nuove locuzioni? Quelli che un tempo erano neologismi, con il passare dei decenni sono diventati termini di uso comune. Basti pensare al tramezzino, inventato da D'Annunzio per sostituire l'inglese sandwich, o a piadina, termine coniato da Pascoli. Non sarò né la prima né l'ultima a portare avanti il dibattito, ma vorrei utilizzare questo spazio per fare alcune riflessioni sull'italiano e alcune fastidiose abitudini ormai molto diffuse. Partiamo dai vezzeggiativi. Mi riferisco a quei nomignoli che popolano bar, ristoranti, tavole calde e, sempre più spesso, anche le occasioni più informali. Lo vuoi un cafferino? Fai un aperitivo? Ecco il prosecchino! Esci con gli amici? Ma fatti una birretta! Ho proprio voglia di un... sushino! Ogni volta che sento una di queste oscenità, la tentazione è quella di alzarmi da tavola e sparire nella notte come Darkwing Duck. Vogliamo parlare degli anglicismi? Ma sì, facciamolo. Tanto l'avete capito che sono pesante. Nel maggio 2019, l'Accademia della Crusca fece un appello a favore della traduzione italiana di termini che, troppo spesso, utilizziamo nella loro variante inglese. Penso che questo sia particolarmente valido per l'ambito enogastronomico dove, ahimè, ci siamo dimenticati dell'esistenza di alcune parole italiane. Se, per ovvie ragioni storiche e culturali sono ben accetti termini come hamburger, cupcake o cheesecake, davvero non riesco a capire l'uso smodato di locuzioni pseudo-inglesi. Vi faccio un esempio. Scorro la bacheca di Facebook e vedo amici e conoscenti alle prese con pizze, focacce e dolci di ogni sorta. Vorrebbero partecipare ad uno show cooking per diventare famosi come Cannavacciuolo, ma non hanno ancora capito che si dice cooking show! E poi... Perché devo inserire l'hashtag foodporn anche per la torta di mele fatta da mia nonna? Il grande contenitore dei neologismi non sembra essere immune. L'aggettivo microondabile è solo la punta dell'iceberg. Lo so, usare una perifrasi può non veicolare il messaggio con altrettanta immediatezza, eppure possiamo esprimere lo stesso concetto senza utilizzare un unico aggettivo. La lingua italiana ce lo permette. Vi fa così schifo dire: da riscaldare nel microonde? Il mio intento non è puramente polemico. Da traduttrice, infatti, sono ben consapevole dei cambiamenti cui vanno incontro tutte le lingue. Sarebbe stupido pensare alla lingua come a un entità astratta e immutabile, un insieme di codici mummificati. Ma non posso fare a meno di pensare quanto sia necessario riflettere con maggiore attenzione, specialmente nella vita di tutti i giorni, prima di usare una parola o un'altra. Adesso la smetto e vado a bermi un succhino di frutta. No, non è vero! In cui si narra dei traduttori e della loro routine sportiva. Sport e quarantena.
In questo periodo così particolare, non passa giorno senza che io mi imbatta in qualche tutorial relativo agli allenamenti in casa. Dallo yoga al fitness, dalla zumba alla kickboxing, c'è un vero florilegio di esperti pronti ad aiutarci a superare queste settimane senza perdere le energie fisiche e mentali. Noi traduttori, grandi amici di scrivanie e comode poltrone, tendiamo a impigrirci. A fine giornata, con gli occhi affaticati dalle mille ore al PC, spesso ci dimentichiamo di concederci un po' di tempo da dedicare all'attività fisica. Anche se, di solito, istruttori e maestri corrono in nostro aiuto, queste settimane rischiano di compromettere il lavoro fatto nell'ultimo anno. Nessuno di noi ha, penso, l'ambizione di diventare Arnold Schwarzenegger: abbiamo già le nostre cartelle e i video da tradurre, senza decidere di accumulare muscoli mastodontici in ogni parte del corpo. Ma dobbiamo ammettere che un po' di sano sport, a fine giornata, può alleviare la monotonia della quarantena. Manubri, cavigliere, bottiglie d'acqua, tappetini da yoga... tutto può servirci! Anche fare sollevamento pesi utilizzando il gatto. Be', forse non ne sarà felicissimo, però è un'idea! In questo mese, dovendo fare a meno della scherma e delle lezioni di yoga, ho riscoperto l'allenamento domestico. Si tratta di un'ottima valvola di sfogo, in grado di farmi dimenticare (anche solo per un'ora o poco più), tutti i problemi e lo stress della giornata lavorativa. Sottotitoli, frasi idiomatiche, clienti insistenti, fatture da inviare... tutto sembra svanire! Ripeto, non penso di diventare la novella Schwarzy, ma almeno cerco di salvaguardare la mia salute fisica e psichica. Elemento fondamentale, per allenarsi in casa, è la musica. Mi sono accorta di aver riscoperto artisti che ascoltavo da bambina (e non mi vergogno a dirlo). Backstreet Boys e Shania Twain, per citarne due, fanno parte della mia routine sportiva. Per darci la giusta motivazione, non c'è niente di meglio delle canzoni che conosciamo a memoria. Avete un giardino di cui prendervi cura? Perché no, anche quella può essere un'ottima idea per mantenersi in forma. Se invece preferite allenarvi in casa o non avete spazio all'aperto, vi consiglio di rispolverare i video di Jane Fonda. Anche se è passato qualche anno, le lezioni della mitica Jane sono ancora molto valide. Ora torno a tradurre... buon lavoro e buon allenamento a tutti! Per quanto sia difficile, saper dire di no è fondamentale. Il traduttore freelance e il tempo. Un rapporto non sempre armonioso.
Accettare o non accettare la traduzione? Questo è il dilemma. Che faccio? Accetto l'ennesimo incarico, anche se ho già dieci traduzioni da consegnare entro venerdì? Se lavorate come liberi professionisti, vi sarete posti questa domanda un milione di volte. La settimana inizia con l'email di un cliente storico, il quale vi chiede di sottotitolare alcuni video. Poi vi contatta un altro cliente, non meno importante, che vi implora di tradurre nuove porzioni di un progetto al quale lavorate ormai da tempo. Arriva la mail di un nuovo, potenziale cliente, che vuole sapere se siate disposti a sostenere una prova di traduzione. E voi, che ronzate attorno a quell'agenzia da mesi, vi sentite come le api al miele. Vuoi non accettare una breve prova? A furia di accettare, ecco che l'agenda è già piena. Sì, perché il grande problema di noi freelance è che amiamo il nostro lavoro alla follia. Questo fa sì che, troppo spesso, ci troviamo a non sapere dire di no. Ma siamo sicuri che accettare tutti gli incarichi proposti sia sempre la soluzione migliore? La domanda mi frulla in testa da diverso tempo, ed ecco cosa ne penso. Sicuramente il nostro conto in banca sarà molto felice, ma non possiamo dire lo stesso del nostro stato di salute. Vale davvero la pena di sacrificare il tempo che dovremmo dedicare al prezioso riposo, o magari ad amici e parenti, pur di accettare l'ennesima traduzione? Credo proprio di no. Saper dire di no ci permette di prestare maggiore attenzione agli incarichi già accettati, con la sicurezza di consegnare un lavoro impeccabile. Saper dire di no fa capire al cliente che il nostro tempo è prezioso, e che prima di accettare un incarico vogliamo valutare la situazione nel complesso. Questo ci rende professionisti affidabili e con i piedi per terra. Vi sembra poco? Saper dire di no ci ricorda, ogni tanto, che oltre al lavoro esiste un mondo, là fuori. Non c'è niente di male, nell'avere un hobby o una passione. Anche se questa passione è ascoltare le canzoni di Justin Bieber. Saper dire di no, quindi, dà maggior valore a noi stessi e al nostro tempo. Ricordiamoci di dire "no"! |
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